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Cadice, antica città di marinai

  • Immagine del redattore: Sabrina Andreozzi
    Sabrina Andreozzi
  • 18 giu 2022
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 20 giu 2022

La città di Cadice, capoluogo dell’omonima provincia, è una della più importanti città spagnole. Le sue origini risalgono alla lontana colonizzazione fenicia sotto la quale prese il nome di Gadir. Com’è noto, i fenici furono protagonisti di grandi spedizioni marine e la baia di Cadice sembrava essere l’ideale: infatti, l’intera provincia è dominata dal mare e proprio per questo rivestirà il ruolo di maggior porto europeo dopo la scoperta dell’America. Fu proprio Cristoforo Colombo a preferirla a Siviglia per la sua seconda traversata.

L’architettura e le strade di Cadice nascondono secoli di storia moresca, romana e medievale che hanno lasciato le loro tracce soprattutto nelle ricette e nei sapori gaditani.

Ai fenici dobbiamo una rilevante tradizione ittica che continua ad avere una forte risonanza soprattutto nella cultura gastronomica gaditana di cui protagonista è soprattutto il pesce, a cui seguono i prodotti provenienti dal versante montano e dai famosi pueblos blancos che vi sorgono.



Tradizione rosso freddo

Iniziamo ad addentrarci per le strade dell’antica Gadir e ordiniamo un gazpacho tradizionale. Probabilmente ci verrà servito in un bicchiere e il liquido freddo all’apparenza sembrerà una spremuta d’arancia. Già Virgilio, il poeta latino, ne parlava raccontando di un preparato che serviva a rinfrescare i mietitori durante le pause lavoro ed egli ne cita anche la ricetta: allia (aglio), serpyllumque (timo), olentes contundit herbas (erbe odorose). Una preparazione non molto lontana da quella odierna che invece è stata modificata anche dall’ingresso in Andalusia di alcuni ingredienti portati dal Nuovo Mondo come il pomodoro. Inoltre, ne esisteva un tipo denominato “blanco” che non include gli ingredienti successivi alla scoperta dell’America e che era molto in voga durante la dominazione araba: si compone di quattro spicchi di aglio, mandorle, briciole di pane, aceto, uova, fagioli secchi, olio, sale, acqua e guarnito con un po’ di mela tritata.


Si tratta, dunque, di una zuppa fredda ideale per il clima di questi luoghi caldi e afosi. Permette di idratarsi e di reintegrare i sali minerali in modo semplice. Un compromesso perfetto un tempo per gli agricoltori che avevano bisogno non solo di sfamarsi con poco, ma anche di cibarsi di qualcosa di facilmente digeribile per rimettersi al lavoro. Il colore di questa pietanza fredda ricorda la storia di questi posti: l’arancione, un colore caldo e romantico che racchiude il giallo del Sole che batte su queste coste, insieme al rosso della passione che contraddistingue il popolo spagnolo. Pomodori maturi, peperone verde, cetriolo, aglio, olio extravergine d’oliva, una punta di aceto di sherry e acqua salata… questi sono i sapori inconfondibili dei suoi ingredienti.


Un popolo di marinai, sin dai tempi più antichi…

Continuiamo la nostra avventura gastronomica con il piatto locale per antonomasia: il pescaito frito. Il pescato fresco gaditano viene servito in maniera semplice, arricchito da non più che di una spruzzata di limone ed una manciata di sale. Un piatto genuino che fu introdotto nel terzo secolo avanti cristo dai fenici e tenuto in vita dalle successive dominazioni: i romani lo accompagnavano con il garum (una salsa salmastra ottenuta dalle viscere del pesce), gli ebrei lo condivano attraverso un aceto aromatizzato alle erbe mentre gli arabi ne apprezzarono entrambe le versioni. Così, il pescaito frito divenne a poco a poco un manjar (prelibatezza) tradizionale affermatasi in tutta l’Andalusia: alcuni documenti testimoniano che Cadice disponeva di 84 friggitrici specializzate solo nel 1812. Inoltre, in virtù di ciò, c’è chi afferma che la famosa tempura giapponese deriva proprio dalla frittura andalusa portata in Oriente dai missionari cristiani nei secoli XVI e XVII.


Cazon en adobo

Ancora, ad allietare i nostri palati con i sapori marini della Costa del Sole c’è il pescecane, il quale protagonizza il noto piatto “cazon en adobo” dove viene insaporito da aglio, cumino, origano e peperoncino. Anch’esso probabilmente trae le sue origini dalla dominazione araba, ma delle fonti certe ci rimandano al XVI secolo, quando i condimenti e le salse erano utilizzati per conservare più a lungo il cibo e mascherarne gli odori: da qui ha origine questa popolare preparazione per il pescato, visto che le alte temperature ne impedivano un’adeguata conservazione ed i condimenti ne rendevano più sopportabile il consumo (a causa degli odori).

Questa pratica prese largo piede da Cadice verso il resto del continente e attualmente è utilizzata per vivacizzare proprio la carne dei pesci con meno sapore, come il pescecane. Fenici, arabi e poi… italiani Avendo appurato una forte presenza fenicia e poi araba all’interno della storia di questa provincia andalusa, sarebbe bene rendere nota un’ulteriore minoranza che ne ha caratterizzato i sapori e, soprattutto, il commercio marittimo: i genovesi. Ebbene sì, questi dominatori del Mediterraneo contribuirono alla presa di Siviglia nel 1248, stanziandosi poi nella provincia gaditana. Seguiranno, nei secoli, altri flussi migratori di cui i documenti citano uno in particolare: quello del quindicesimo secolo, quando furono registrate presso i porti già 15 famiglie nobili genovesi a cui bisogna aggiungere un numero ignoto di artigiani, commercianti e tante altre figure che ben si distribuirono tra i diversi strati della società lasciando le loro tracce anche nel patrimonio artistico e culturale della città, come emerge dalla costruzione della Cappella dei Genovesi presso la chiesa di Santa Cruz, definendo un piccolo luogo di culto e di ritrovo sociale della colonia.

Probabilmente, la presenza dei commercianti genovesi nell’Andalusia occidentale è stata fondamentale per la grande scoperta di Colombo. Fortunatamente, questa minoranza italiana non si è limitata a condividere tutta la sua esperienza nel commercio e delle acque, bensì ha anche lasciato delle tracce nella gastronomia locale… tracce che possiamo individuare nella preparazione della “caballa con babetas”, ovvero lo sgombro accompagnato da un tipo di pasta peculiare che si ottiene da un impasto di farina e acqua, a cui possono essere aggiunti sale, uova e altri ingredienti. Di solito si preparano strisce lunghe che vengono poi cotte in acqua. Storicamente, il primo riferimento certificato della pasta bollita risale al V secolo nel Talmud di Gerusalemme, scritto in aramaico. La parola usata per le tagliatelle è itriyah. Sembra, dunque, più che probabile che la pasta sia stata introdotta in Europa durante la conquista araba del Mediterraneo europeo: Sicilia in Italia, Levante e Andalusia orientale in Spagna, dove fu portata come alimento base essiccato. Nel 1244 si ha notizia della produzione di pasta secca in Liguria e da lì è stata probabilmente introdotta nella cucina gaditana dagli stessi genovesi. Il primo documento che fa riferimento a Cadice in relazione al consumo diffuso di pasta appare nel censimento del 1713 che indica la presenza di due spaghettatori di origine genovese, entrambi impiegati in pastifici. Più tardi, nel censimento del 1797, compaiono 43 lavoratori genovesi nei 16 pastifici della città; il settore si faceva sempre più spazio nell’economia gaditana. Tra le varietà di pasta, la babeta è uno spaghetto spesso, lungo e piatto che, secondo alcuni cronisti, veniva ricavato dai ritagli di altri tipi di pasta più raffinati, motivo per cui a Cadice si usa ancora questa parola per designare in modo dispregiativo le persone, anche con l'aggiunta di "remojá" per far credere che siano insipide o prive di coraggio.

L'altro protagonista di questa ricetta tradizionale è lo sgombro, che si può ancora pescare con relativa facilità al largo della costa di Cadice. Non dobbiamo dimenticare che, fin dalla conquista romana delle nostre terre, i gaditani erano famosi nell'impero per la qualità del loro Garum (Garum Gaditanum), che insieme a quello prodotto a Cartagena (Garum Sociorum), era composto da una grande percentuale di sgombri. Non a caso, la zona era chiamata dagli stessi romani “il granaio di Roma”. Da tutto ciò, non è difficile dedurre che due elementi come lo sgombro e la pasta, abbondanti ed economici, si siano sposati rapidamente nelle umili cucine di Cadice e delle altre città della sua baia. La ricetta non potrebbe essere più semplice e il risultato più gustoso. Il Natale ha un sapore arabo

Per terminare il nostro percorso gastronomico nella provincia gaditana non c’è modo migliore degli alfajores, un dolce tipico locale. La ricetta di tradizione natalizia è composta da farina, pangrattato, miele puro, mandorle, nocciole e spezie come coriandolo, chiodi di garofano, arachidi, semi di sesamo e cannella, offre un perfetto equilibrio di sapore e aroma. Mentre l'impasto è ancora caldo, si forma una specie di cilindro, che viene poi tagliato in pezzi lunghi circa sette o otto centimetri. Gli alfajores vengono poi immersiin qualcosa di simile allo sciroppo e cosparsi di zucchero a velo e un po' di cannella in polvere. Si tratta di una prelibatezza antica che viene ancora prodotta a mano nel cuore della città.


L'idea è di origine araba, la parola "Alfajor" deriva dall'arabo "Al- Hasú", che significa "il ripieno" e tradizionalmente consisteva in una base di pasta di mandorle, noci e miele. Fu introdotto in Spagna quando il re Rodrigo fu sconfitto dagli arabi. Da quel momento in poi, l'influenza araba segnò per secoli lo sviluppo della cultura spagnola che, tra le altre usanze, adottò la tipica pasticceria. Gli spagnoli l'hanno poi portata in queste terre più di 130 anni fa. Ma un uomo, un pioniere, le ha dato un tocco particolare e distintivo. Il chimico francese Augusto Chammás aprì una piccola fabbrica di dolci in Argentina e uno dei suoi prodotti era una pasta rotonda. Era una novità per l'epoca, che ha cambiato il concetto di alfajores nel mondo i quali, nelle loro differenti versioni, rappresentano ognuno una regione attraverso il loro sapore.

 
 
 

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